7 FEBBRAIO, LA CHIESA FESTEGGIA SANT'ALFONSO MARIA FUSCO
Il Fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista si occupò dei poveri e degli orfani. Oggi le sue "figlie" spirituali operano in sedici nazioni.
Primogenito di cinque figli, nacque il 23 marzo 1839 ad Angri, in provincia di Salerno, diocesi di Nocera-Sarno, dai coniugi Aniello Fusco e Giuseppina Schiavone, entrambi di origine contadina, ma educati fin dalla nascita a sani principi di vita cristiana e al santo timore di Dio.
Si erano sposati nella Collegiata di San Giovanni Battista il 31 gennaio 1834 e per quattro lunghi anni la culla preparata con amorevole cura era rimasta desolatamente vuota. A Pagani, poco distante da Angri, sono custodite le reliquie di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Alla sua tomba, nell'anno 1838 si erano recati a pregare Aniello e Giuseppina. In tale circostanza si sentirono dire dal Redentorista Francesco Saverio Pecorelli: «Avrete un figlio maschio, lo chiamerete Alfonso, sarà sacerdote e farà la vita del Beato Alfonso». Il bambino rivelò subito un carattere mite, dolce, amabile, sensibile alla preghiera e ai poveri. Ebbe come maestri nella casa paterna dotti e santi sacerdoti, che lo istruirono e lo prepararono al primo incontro con Gesù. A sette anni ricevette la Prima Comunione e subito dopo anche la Cresima. A undici anni manifestò ai genitori la volontà di diventare sacerdote ed il 5 novembre 1850 «spontaneamente e soltanto col desiderio di servire Dio e la Chiesa», come egli stesso dichiarò molto tempo dopo, entrò nel Seminario Vescovile di Nocera dei Pagani.
Il 29 maggio 1863 ricevette l'ordinazione sacerdotale dall'Arcivescovo di Salerno Mons. Antonio Salomone tra l'esultanza dei suoi familiari e l'entusiasmo del popolo. Si distinse ben presto fra il clero della Collegiata di San Giovanni Battista di Angri per lo zelo, per l'assiduità nel servizio liturgico e per la diligenza nell'amministrazione dei sacramenti, specialmente della riconciliazione, nella quale mostrava tutta la sua paternità e comprensione per i penitenti.
Si dedicava all'evangelizzazione del popolo con una predicazione profonda, semplice ed incisiva. La vita quotidiana di don Alfonso era soltanto quella di un sacerdote zelante, che però portava nel cuore un antico sogno. Negli ultimi anni di seminario, una notte, aveva sognato Gesù Nazareno, che gli aveva chiesto di fondare, non appena ordinato sacerdote, un istituto di suore e un orfanotrofio maschile e femminile. Fu l'incontro con Maddalena Caputo di Angri, donna dal carattere forte e volitivo, aspirante alla vita religiosa, che spinse don Alfonso ad accelerare i tempi per la fondazione dell'Istituto. Il 25 settembre 1878 la Caputo ed altre tre giovanette si ritirarono nottetempo nella fatiscente casa Scarcella, nel rione di Ardinghi in Angri. Le giovani intendevano dedicarsi alla propria santificazione attraverso una vita di povertà, di unione con Dio, di carità impegnata nella cura e nella istruzione delle orfanelle povere. La Congregazione delle Suore Battistine del Nazareno era così fondata; il seme era caduto nella terra buona di quei quattro cuori ardenti e generosi; le privazioni, le lotte, le opposizioni, le prove lo irrorarono ed il Signore lo fece sviluppare abbondantemente. Casa Scarcella prese ben presto il nome di Piccola Casa della Provvidenza.
Cominciarono a venire altre postulanti e le prime orfanelle, e con loro, anche le prime difficoltà. Il Signore, che fa soffrire molto chi molto ama, non poteva risparmiare pene e sofferenze al Fondatore e alle sue figlie.Don Alfonso accettò le prove a volte molto dure, manifestando una completa uniformità alla volontà di Dio, un'eroica obbedienza ai superiori e una smisurata fiducia nella Provvidenza.
L'ingiusto tentativo del Vescovo diocesano, Mons. Saverio Vitagliano, di deporre, per accuse inconsistenti, don Alfonso dal compito di direttore dell'Opera; il rifiuto di aprirgli la porta della casa di via Germanico a Roma, da parte delle sue stesse figlie, per una ventata di separatismo; le parole del Cardinale Respighi, Vicario di Roma: «Avete fondato delle suore brave che fanno il loro dovere. Ora ritiratevi!», furono per lui momenti di grande sofferenza, che lo videro pregare col cuore in angustia, come Gesù nell'orto, nella cappellina della Casa Madre in Angri e nella chiesa di San Gioacchino ai Prati, in Roma.
Don Alfonso non ha lasciato molti scritti. Amava parlare con la testimonianza della vita. Le brevi frasi ricche di sapienza evangelica, che si possono ricavare dai suoi scritti e dalle testimonianze di chi lo conobbe, sono bagliori che illuminano la sua vita semplice, il suo grande amore per l'Eucaristia, per la Passione di Gesù e la sua filiale devozione alla Vergine Addolorata. Ripeteva spesso alle sue Suore: «Facciamoci santi seguendo da vicino Gesù... Figliole, se vivrete nella povertà, nella purità e nell'obbedienza, risplenderete come stelle lassù, in cielo». Dirigeva l'Istituto con grande saggezza e prudenza e, come padre amoroso, vegliava sulle Suore e sulle orfane. Era di una tenerezza quasi materna per tutte, specialmente per le orfanelle più bisognose; per loro c'era sempre un posto nella Piccola Casa della Provvidenza, anche quando il cibo scarseggiava o addirittura mancava. Allora don Alfonso rassicurava le sue Figlie pensierose, dicendo: «Non vi preoccupate, figlie mie, ora vado da Gesù e ci penserà lui». E Gesù rispondeva con prontezza e grande generosità. A chi crede tutto è possibile! In un tempo in cui l'istruzione era privilegio di pochi, vietata ai poveri e alle donne, don Alfonso non badava a sacrifici pur di dare ai bambini una vita serena, lo studio e un mestiere ai più grandi, in modo che, una volta cresciuti, potessero vivere da onesti cittadini e da cristiani convinti. Volle che le sue Suore cominciassero ben presto a studiare, per essere in grado di insegnare ai poveri e, attraverso l'istruzione e l'evangelizzazione, preparare le vie di Gesù nei cuori soprattutto dei bambini e dei giovani.
La tenacia della sua volontà, totalmente ancorata alla divina Provvidenza, la collaborazione saggia e prudente di Maddalena Caputo, divenuta la prima superiora del nascente Istituto, col nome di Suor Crocifissa, lo stimolo continuo dell'amore per Dio e per il prossimo, permisero, in breve tempo, lo sviluppo straordinario dell'opera. Le crescenti richieste di assistenza per un numero sempre maggiore di orfani e di bambini spinsero don Fusco ad aprire nuove case, prima in Campania, poi in altre regioni d'Italia. Il 5 febbraio 1910 si sentì male durante la notte. Chiese e ricevette con raccoglimento i Sacramenti e la mattina del 6 febbraio, dopo aver benedetto con braccio tremante le sue figlie piangenti intorno al suo letto, esclamò: «Signore, ti ringrazio, sono stato un servo inutile.» Poi, rivolto alle Suore: «Dal cielo non vi dimenticherò, pregherò sempre per voi». E si addormentò placidamente nel Signore.
Si diffuse subito la notizia della sua morte e, per tutta la giornata di quella domenica, vi fu una processione di persone che piangendo dicevano: «È morto il padre dei poveri, è morto il santo!». La sua testimonianza è stata sorgente di vita e di grazia in particolare per le sue Suore diffuse oggi in quattro Continenti.
Il 12 febbraio 1976 papa Paolo VI ne riconobbe le virtù eroiche. Il 7 ottobre 2001 papa Giovanni Paolo II proclamandolo beato lo offrì come esempio ai sacerdoti e lo indicò a tutti come educatore e protettore specialmente dei poveri e dei bisognosi. È stato poi canonizzato da papa Francesco il 16 ottobre 2016
L'ITER PER LA CANONIZZAZIONE
Si arriva alla canonizzazione dopo un lungo iter. Nel 1939 si apre la causa nella diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, con l’accertamento delle virtù eroiche del Servo di Dio da parte di papa Paolo VI il 12 febbraio 1976. Negli anni si continua a pregare per la canonizzazione. Il 3 febbraio 1998 guarisce istantaneamente il piccolo Gershom Chizuma. Il bambino, nato in Zambia il 19 maggio 1994, si ammalò il 18 di gennaio del 1998. Gli fu prima diagnosticata una normale febbre malarica, ma le cose precipitarono e gli fu riscontrato un coma di terzo grado, irreversibile, per “malaria celebrale”, la cui prognosi è letale. La sera del 2 febbraio per i medici la fine era imminente. Quel giorno suor Livia Caserio, religiosa battistina, si recò in ospedale a trovare altri bambini e seppe delle condizioni di Gershom. La religiosa invitò la madre, non cattolica, a pregare Alfonso Maria Fusco, ponendo una sua immaginetta sotto il cuscino del bambino. La preghiera ottenne l’effetto desiderato: la mattina successiva Gershom si risvegliò improvvisamente dal coma chiamando la mamma. La febbre era scomparsa, così come anche la broncopolmonite. Il miracolo fu accertato il primo luglio 2000 e la celebrazione di beatificazione, presieduta dal papa San Giovanni Paolo II, avvenne in piazza San Pietro il 7 ottobre 2001.
In questi anni si è continuato a pregare e a chiedere l’intercessione del presbitero angrese. Il miracolo decisivo è arrivato nel 2009. Quell’anno suor Mariadulcis Miniello, originaria di Ripalimosani in provincia di Campobasso, ma da anni residente a Roma, dove ha ricoperto il ruolo di economa generale, fu colpita da due aneurismi cerebrali. I medici del “San Camillo” le diedero poche speranze. Dopo una serie di operazioni e la riabilitazione, rimase in carrozzina, gravemente disabile, senza riuscire a riconoscere le persone care. La forte preghiera delle suore e dei suoi familiari riuscì a ottenere il miracolo. Durante la messa domenicale del 25 ottobre, mentre era in chiesa, cominciò a reagire, si girò, riconobbe il fratello, e da quel momento ritornò la suor Mariadulcis che tutti conoscevano e amavano. La religiosa, oggi ha 66 anni, ha seguito come postulatrice la causa di canonizzazione, poi passata per incompatibilità al postulatore laico Paolo Vilotta.
La Chiesa festeggia Sant'Alfonso Maria Fusco il 7 febbraio.
Parole Chiave: sant'alfonso maria fusco, news
Pubblicato il 07 Febbraio 2017 da La Redazione
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