“Hurbinek, il bambino che non tutti conoscono”

Il contributo della nostra lettrice Marialuisa Faiella sull’Olocausto

Bambini ad AuschwitzL’angoscia ed il tormento che provai quel sabato sera mi frenarono e così, alla domanda di mia madre “Non esci stasera”, io risposi di no, mentre seduta alla mia scrivania, quella sulla quale tenevo appoggiati tutti i miei libri di studio, scrivevo quello che irrimediabilmente il libro appena finito di leggere mi aveva suscitato, come per capire meglio, per togliere il groviglio di una matassa informe: un misto di tristezza, angoscia e sofferenza e poi disorientamento.

Non ricordo più quanti anni sono trascorsi, ora mi sembra così lontano, ma ricordo che avevo nel cuore un senso di pesantezza che avrei tanto voluto condividere con qualcuno e così presi a scrivere sulla mia tastiera del computer e quella sera scrissi di cose che non avevo mai udito né mai visto così da vicino.

Le vicende, la storia e la morte di persone che sono passate in questa vita tra l’indifferenza del mondo, mentre soffrivano e mentre perdevano giorno dopo giorno la loro dignità di essere umani. Scrissi di due o forse tre pagine tutto di un fiato e alla fine mi sentii svuotata, svuotata di parole, ma non di pietà.

Chissà ora dove sono quelle parole, forse nelle pagine del mio vecchio diario, chiuse in chissà quali pagine di racconto di vita quotidiana.

Di tutto quel vortice di morte e distruzione che ha sottomesso la storia dei popoli europei, ricordo di un bambino, un bambino di tre anni che avrei tanto voluto accarezzare e abbracciare, a cui avrei voluto sussurrare parole di sicurezza, quiete, a cui avrei voluto trasmettere quel senso materno che gli è mancato. Di questo bambino non ricordavo nulla, se non che avesse tre anni e che fosse solo, poggiato su una barella precaria, messo lì, insieme ad altri malati, incapace di camminare e di parlare.

Sopra tutto quel male, quel bambino, così solo e indifeso, era il bene che sperava e moriva, dentro una stanza nel deserto, in mezzo a tanti altri sventurati, che speravano e morivano insieme a lui. Il suo nome era Hurbinek perché da qualche sillaba che riusciva a pronunciare, le infermiere gli avevano dato il nome che lui sembrasse sussurrare. Hurbinek morì nel 1945 e di lui il mondo non sa se non in due pagine de “La tregua” di Levi, sopravvissuto del più empio e scellerato progetto di annientamento di un popolo, memoria storica dell’umanità presente e futura su questo pianeta. Di questo bambino, rimane la sua innocenza seppellita sotto le macerie della guerra e della miseria umana; di questo bambino simbolo di tutti i bambini abbandonati e senza nome, rimane la sua dolcezza e la speranza che quest’offesa non si ripeta mai più.

Per questo bambino che ha combattuto per restare al mondo, nonostante non avesse avuto mai una culla che lo accogliesse, per questo bambino che solo pochi al mondo hanno conosciuto; per questo bambino fiore della speranza, che il mondo ha ripudiato, non esistono parole, in tutte le lingue del globo, che possano rendere quello che lui è stato, nella condizione in cui ha vissuto la sua breve vita.

Perciò lascio ad ognuno, a chiunque desidera cercare la via che porta all’umanità, alla dignità della vita, allo spirito di questa esistenza, provare a comprendere cosa può significare allontanarsi dal senso della vita stessa.

Il bene, se muore, rinasce nei cuori delle persone che decidono di amare questa vita, senza alcuna condizione.

Per tutti noi

Marialuisa Faiella


Parole Chiave: news, olocausto, primo levi, hurbinek, maria luisa faiella

Pubblicato il 28 Gennaio 2013 da La Redazione


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